La sostenibilità ambientale è certamente tra i temi che hanno preso vigore in questa selezione.
Cosa dobbiamo fare nel settore della moda e del tessile?
Ogni anno nel mondo viene riciclato solo l’1% dei capi di abbigliamento. È un dato che colpisce e ci dice quanto siamo lontani da un’economia circolare, ovvero la direzione maestra per non sprecare risorse.
C’è tanta strada da percorrere per modificare questa situazione, sia da parte dei consumatori che da parte dei produttori di abbigliamento. Nessuno dei due, da solo, può riuscirci.
Questo perché sono forti le ragioni che spiegano la grande distanza del nostro settore rispetto a livelli virtuosi in termini di circolarità e riutilizzo.
l prodotto di abbigliamento corrisponde alla domanda da parte del mercato e questa va in larga parte in direzione opposta alle condizioni necessarie per mettere in atto un sistema più circolare. Consideriamo in particolare tre aspetti: la complessità del prodotto, il fast fashion e il riutilizzo.
La domanda di soddisfare sempre più svariate esigenze in termini di comfort, moda, performance è crescente. Alla domanda complessa i produttori rispondono mettendo a disposizione svariate tipologie di tessuti, ciascuno con una diversa composizione, caratteristica, applicazione. I capi sono così il risultato di composizioni di tessuti e materiali diversi.
Il riciclo richiede la scomposizione e la separazione, un processo molto complicato. Ad esempio, per riciclare una giacca a vento è necessario separare tessuti, spesso accoppiati e di fibre diverse, materiali di imbottitura, cerniere, bottoni, tutti materiali fortemente legati e differenti tra loro.
Per invertire questo paradigma è necessario progettare capi e tessuti avendo già in mente cosa farne al termine del loro utilizzo primario.
Su questo principio si basa l’eco design, un processo finalizzato a progettare i capi in modo che consentano una facile scomposizione e separazione dei materiali. Certo è che i capi in questo modo potrebbero risultare più semplici, essenziali, ed è necessario che il consumatore accompagni questa evoluzione, vivendo la semplicità non come privazione ma come contributo alla sostenibilità.
La moda ed il fast fashion. Ci siamo convinti che un capo d’abbigliamento abbia una scadenza non legata allo stato di usura ma all’adeguatezza a dettami di gusto del periodo e ad un numero massimo di occasioni per indossarlo.
In seguito a ciò l’offerta si è orientata sempre di più verso prodotti con molto contenuto moda, e quindi più soggetti ad obsolescenza, e di breve durata. Invertire questa tendenza è una rivoluzione copernicana. I produttori devono pensare a capi con un contenuto di stile che valga nel tempo e di qualità per durare. I consumatori devono trovare gradimento nel perseguire un’eleganza più personale, meno legata a canoni estetici mutuati dall’esterno.
Il riutilizzo dei capi di abbigliamento è oggi principalmente visto come recupero di valore per persone poco abbienti. L’idea che un vestito possa essere affittato per l’occasione è diffusa per capi molto particolari e costosi.
Questi due fenomeni sono gli estremi dei comportamenti possibili e lasciano pensare che possa ben crescere, come concetto intermedio, l’utilizzo per un periodo limitato della nostra vita di un capo usato e ricondizionato. Si tratta di un atteggiamento diverso, che distingue la proprietà rispetto all’uso e che peraltro vediamo evolvere in altri ambiti, dall’automobile alla casa.
Da parte dell’offerta questo cambiamento presenta enormi spazi di nuove opportunità di business, dalle formule di proposta, alla logistica, alla distribuzione.
Tutto questo sembra irrealizzabile? Penso di no, penso sia un processo che richiede tempo, di adattamento e conversione per buona parte della catena di produzione, di convincimento e partecipazione da parte dei consumatori. Ciò che è evidente è che il successo arriverà solo con la partecipazione e il contributo fondamentale di entrambi questi mondi.
Ma avverrà. A livello globale la presa di coscienza sul tema delle risorse e l’orientamento al tema ambientale è a livelli epocali, inimmaginabile solo 20 anni fa. D’altro canto 20 anni fa chi avrebbe immaginato che si sarebbero prodotti filati e tessuti dal recupero di bottiglie di PET, di tappeti o reti da pesca di nailon, come già oggi avviene con successo da parte dei produttori di fibre man-made?
Paolo Piana
Presidente Federchimica Assofibre CIRF Italia