Partiamo dallo schermo: biossido di silicio e ossido di alluminio, messi in un bagno caldo di sale fuso, in modo da permettere ai grandi ioni di potassio di prendere il posto di dei piccoli ioni di sodio sul vetro. Gli ioni di potassio occupano più spazio e vengono pressati insieme quando si raffredda il vetro, formando uno strato che comprime il vetro rendendolo più resistente ai danni meccanici.
Tutto chiaro? Per poter permettere le funzioni “touch”, viene depositato sul vetro un sottile strato trasparente di ossido di indio e stagno (quello che viene chiamato “transparent conducting oxide” in sigla TCO).
Per completare il tutto, troviamo alcuni degli elementi più rari sulla Terra che servono a ridurre i colori sullo schermo ed evitare la penetrazione di raggi UV nel telefono (altrimenti oltre ad uno strato di crema all’indio e stagno ci dovete spalmare anche uno strato di crema solare, per evitare le scottature).
La maggioranza dei telefoni attuali usa batterie agli ioni di litio. Nello specifico, ossido di litio e cobalto o manganese per il catodo e litio disperso in carbonio in forma di grafite per l’anodo. E l’involucro delle batterie, solitamente, è composto di alluminio. In più l’elettrolita che consente il passaggio degli ioni litio dall’anodo al catodo è costituito da un polimero fluorurato, che in estrema sintesi è composto da carbonio e fluoro.
Riepilogando quindi: alluminio, litio, cobalto o manganese, carbonio e fluoro. Un mix molto interessante. La durata della batteria, oltre che dal nostro uso, dipende da quanto litio e litio cobalto ossido sono contenuti nell’anodo e nel catodo. La batteria è quindi una parte sostanziale del peso di un telefonino: più un telefonino è pesante, maggiore è la durata della batteria.
Veniamo alla parte più complessa del nostro smartphone, quella elettronica.
La CPU (central processing unit) del nostro telefono, ovvero il cuore operativo, è a base di silicio. Per poter generare l’effetto transistor (il modo con cui si crea la logica binaria 0 1) è necessario creare quella che viene detta la giunzione p-n: ossia uno strato di silicio caricato negativamente (drogandolo, cioè incorporandovi piccole quantità di fosforo o arsenico) in contatto con uno strato caricato positivamente (drogandolo con boro). Di questo transistor una CPU ne contiene miliardi. Per evitare contatto elettrico tra un transistor e l’altro è necessario uno strato isolante, realizzato esponendo all’ossigeno il silicio e formando ossido di silicio (si, la comune sabbia di mare). Per produrla, il silicio viene esposto al calore e combinato con ossigeno, in modo da produrre un sottile strato di ossido di silicio sulla superficie. I singoli transistor sono connessi tra di loro da microcondutture composte principalmente da rame, oro e argento (ecco perché le nostre apparecchiature elettroniche a fine vita sono preziose e debbono essere smaltite in modo da recuperarne il contenuto). I componenti elettronici sono poi connessi alla scheda madre tramite saldature che in passato erano eseguite con stagno e piombo, e che recentemente sono state sostituito da combinazioni di stagno, argento e rame.
L’altoparlante e il microfono contengono magneti, solitamente composti da leghe di neodimio, ferro e boro anche se vengono utilizzati anche nichel, praseodimio e gadolinio.
Per le unità vibranti invece vengono utilizzati neodimio, terbio e disprosio.
Una bella varietà di elementi chimici, non c’è che dire!
Si ringrazia il Professor Maurizio Masi, Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria chimica “Giulio Natta” del Politecnico di Milano