Sembra che i cosmetici si dividano in due categorie: quelli che hanno l’esplicito intento di essere sostenibili e invece quelli che il problema della sostenibilità proprio non se lo stanno ponendo. Buoni e cattivi insomma. Ma sarà davvero così?
Premetto che non ho risposte semplicistiche e risolutive: vorrei darvi una visione un po’ più ampia della questione.
Iniziamo col rispondere ad una domanda: i cosmetici inquinano? Sì, inquinano tutti.
Esistono cosmetici che inquinano meno di altri? Forse sì, ma questa domanda ci apre la strada ad alcune considerazioni.
Metto in conto che tu lettore ti possa sentire confuso da tutte queste informazioni: per questo ti prenderò per mano senza che possa sentirti disorientato.
Se si sostiene che un cosmetico sia più sostenibile di un altro, si deve presentare una prova oggettiva che possa avvalorare questa tesi. Posso dire che sono più alta della mia amica Giulia, perché misuro in altezza 1 metro e 67 centimetri mentre Giulia 1 metro e 60.
La prova oggettiva è quindi un valore che chiarisce il rapporto tra i termini di comparazione.
Se stabilire chi fosse la più alta fra le due amiche è una valutazione semplice, diventa molto più complicato misurare tutti i costi del ciclo di vita del cosmetico.
I costi possono essere quantificati, ad esempio, nel biossido di carbonio (CO2 tanto per capirci) rilasciato nell’ambiente o dall’energia consumata a partire dall’estrazione delle materie prime per trasportarle nello stabilimento di produzione. Qui avvengono i primi processi di purificazione per ottenere una materia prima idonea per l’uso cosmetico. La materia prima viene quindi ceduta ai produttori e miscelata con altre per ottenere il cosmetico desiderato e per distribuirlo nei punti vendita. Sebbene non sia semplice avere un dato preciso (si tratta di una stima approssimativa), è tutto sommato un’operazione fattibile.
Ma cosa succede quando il cosmetico si trova sullo scaffale, pronto per essere acquistato?
Da qui in poi quantificare i costi generati dal cosmetico diventa molto complicato perché il consumatore rappresenta una variabile difficilmente prevedibile. Utilizzerà molti prodotti contemporaneamente, o cercherà di rinunciare a qualcosa? Sarà parsimonioso nel consumo di acqua e dell’energia elettrica? Si sposterà a piedi o in auto per fare la spesa? Avrà la premura di riciclare in modo corretto la confezione?
Potrei andare avanti a lungo e fare tante altre considerazioni ma ora ci è chiaro che il consumatore concorre ad avere un ruolo fondamentale nella generazione dell’impronta ambientale.
Per impronta ambientale si intendono tutti i costi generati dal prodotto nel suo intero ciclo di vita e non dipende dal tipo di ingrediente scelto o dalla presenza di certificazioni sul prodotto finito.
La considerazione che vi spingo a fare io è che acquistare un cosmetico che si autoproclama eco/bio o green non necessariamente è la scelta migliore o, come qualcuno dice, la meno peggio per l’ambiente, perché semplicemente al momento non abbiamo i mezzi, i dati o le informazioni per poterlo supporre. Inoltre, è bene ricordare che nonostante le associazioni di categoria cerchino di mettersi d’accordo per descrivere cosa sia un cosmetico ecobio non esiste una definizione legale del termine.
Non abbiamo alternative allora? No, le abbiamo e di nuovo il buon senso ci viene in aiuto.
Evitare di circondarsi di troppi prodotti, prestare attenzione nel differenziare i rifiuti, ridurre le quantità di prodotto o ridurre i consumi di acqua sono comportamenti davvero eco-friendly. Insieme alla consapevolezza che l’ecosostenibilità non si acquista al supermercato: la differenza possiamo farla noi.
Elena Accorsi Buttini
Farmacista e divulgatrice scientifica